Da Acerenzadiffusa in Italia e nel Mondo
Quartiere Italia, Via Castelli Romani
Domenico Gilio
Le poesie
ROSA DI LUCE E PANE ,Poesia dedicata alla mamma, Rosa Lucente.MIO PADREPoesia dedicata al padre, Francesco Gilio.Le immagini dei genitori di Domenico sembrano uscire da un’epopea medioevale.La loro giornata iniziava al chiarore dell’alba ed era scandita dai rintocchi della campana della Cattedrale all’ora dell’Uffizio, del Vespro e dell’Ave Maria.Un lembo di terra ad Alvanello, grazie alle mani solerti prima di mia madre e poi di mio fratello Tonino, conserva la memoria di quel tempo.Degli olivi tendono la chioma verso il cielo e qualche logora vite matura grappoli d’uva.Ora manca il campo di grano con le spighe, non più mosse dal vento; assente il brusio a dare valore sacro al pane.(Domenico Gilio)
ROSA DI LUCE E PANEper Mamma Rosa
Madre cortese,avrò pietà del croco calpestato,della viola sul ciglio della strada?O per sempre è finito
il tempo delle attese?
Mi dicesti: Vai, figlio! Io ho inseguitoombre, le labili orme di parole,a immagine dell’anima,
di onde vertiginose.
Null’altro mi si è dato che apparenze.Quasi un tocco, non per viltà,furtiva la ricerca.Fiocchi di sogni alati la Bellezzaallo sguardo si scioglie.Su queste soglie d’alba
si coglierà la rosa
della luce sparviera.Le spighe con le reste, aspre di sole,ghermite ad una ad una tra le stoppie.E poi mani febbrili
di notturno lavoro
a intridere farina e lievitarelarghe nicchie nel pane,
a custodire Dio.
Non una briciola si può sprecare,per non perdere il sacroe la fragranza.Rifiorirà la Rosa,
dolore e voluttà.
Le voci di sirene;
i sempiterni semi
della terra feconda di ogni provvidoamore; di stupore.
Leggenda… quel che è stato,
com’era resterà.
MIO PADRE
per Papà Francesco
Si alza
inascoltata l’ora dell’Ufficioe del Vespro, che ti era pausaall’affaticato lavoro.E tu levavi un attimo la fronteda terra e dai pensieri.Voce di leggenda promanadai boschi e dalle zolle che ti viderovincere un’esistenza disumanadi un’epopea medioevale.Le viti e i sacri verdi oliviche ad uno ad uno tu curavi,con mani gonfie di ferite,profumano i declivi.Mani pietose li tengono in vita,quelle stesse che non sovente tuhai strette nelle tuecon delicata ruvidezza.Il fremito che passa,leggero sulla cima del cipresso,spande aroma sottile,delle viole a te care.
Lo squittio
di un cardellino, volato sul ramo,rïaccende il tuo sguardoe quegli impeti di utopia,per cui scuotevi invincibili ceppi,cui hai ceduto il tuo cuore sfibrato.
Dino Salese (Pescara, agosto 2020)