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Domenico Gilio
Poeta


        



    • Domenico Gilio  -  Le poesie


Brani di critica letteraria su Domenico Gilio


LA RICORDANZA DEMIURGICA di Mario Ciola

Domenico Gilio è un poeta ellittico, capace, cioè, di rivoltare i segni e di celare il sangue dietro le quinte della narrazione. Braccato dal demone della nostalgia, egli convoca e compone le schegge di un mondo perduto – lucciole e torrenti, papaveri e covoni annegati nell’azzurro, cicale e girasoli ebbri di luce – fino a stabilire uno scambio ontologico tra sé e i luoghi della memoria:”  …  La metafora dello specchio e i rimandi cosmogonici a essa correlati tornano spesso nelle sue liriche a rinnovare flussi e corrispondenze in un processo in cui la coscienza è come oggettivata e la realtà è chiamata a sostanziare di sé le architetture della oggettività poetica.


UNO STATO D’INNOCENZA TRA LE OMBRE di Maria Claudia Simotti

La fuga dalle "ciminiere artificiali" dell'alienante civiltà metropolitana… approda nel paradisiaco "incantamento" d'una Natura protettiva, opulenta, feconda e rigeneratrice, insieme indomita e idilliaca, selvaggia e bucolica, mitologica e contadina, chimerica e ancestrale, ma sempre spiccatamente antropomorfa…tra i poli del "perenne" e del "precario", dell’effimero e del sacro, che strenuamente si contendono il dominio sull'uomo …per arrivare a, splendida, sintetica definizione,: " l'uomo/sublime intreccio e assurdo di materia/ e di vento", l'anima del quale Baudlerianamente "sta come quell'albero/ che è di tutti:/ che il mistero della terra penetra /e la chioma alla luce affida, al vuoto,/al vento".


PAROLE AL TEMPIO di Marco Onofrio

Parole al tempio segna, per esiti di quintessenza, la maturazione definitiva della poesia metafisica (a un tempo classica e sublime) di Domenico Gilio, giunto qui alla sua sesta raccolta. E mi piace immaginare che questo libro sappia disegnare un percorso dal “tempo” (assorbito negli abissi del titolo) al “tempio”, attraverso il vettore della parola: dal tempo umano dell’esperienza al tempio metafisico della natura, coi suoi arcani semplici universali significati. L’intenzione poetica di Gilio sembra animata dalla volontà di penetrare nell’“opera del mondo”, nella fabbrica fervida del divenire, alla radice delle forze e delle identità. Le assonanze del libro sfiorano una dimensione da “rerum natura”(…)

Sono liriche che tendono alla condizione di “inni naturali”. Dunque organicità di una “melodia circolare” che abbraccia e ingloba il mondo per cerchi concentrici. È una poesia che nasce da un assenso primordiale e preliminare alla necessità cosmica dell’essere: dalla volontà e dalla capacità di “dire sì alla vita”. Dal mondo affiora il sorriso enigmatico dell’essenza, il brivido fuggente della bellezza, il mistero della materia: l’aseità, la quiddità impenetrabile delle cose “a sé stanti, a sé date”.(…)

Il contesto naturalistico degli scenari agresti o campestri è il tracciato che consente un recupero della “primitiva solarità”: girasoli ebbri di luce, fuoco di papaveri, oro di ginestre, canto di cicale; e il “fulgore oltreumano del giorno” sulla terra che “da un trono di splendore / apre il suo grembo d’oro”. Da una parte dunque i segni del mondo (il tempio della natura); dall’altra il tempo dell’umana condizione: il cammino “dato per caso / verso una meta ignota” con la “promessa di un bene che tu senti e cerchi” ma “non sai quale sia”; quell’essere annodati a un filo fragile; lo stare “in elegia” tra “cose non ancora perdute e non più vive”. L’esperienza umana del tempo è minata da caducità: “ferisce l’uomo al cuore il divenire”, giacché tutto passa inesorabile,  la vita sfuma e si cancellano i contorni delle cose: “nel labile momento / mentre parliamo è già tutto diverso”. Che potere di persistenza ha nel tempo la memoria? Quale capacità di fermare le cose, di non lasciarle svanire? “Che io rubi questo momento” dice il poeta: che lo sottragga per sempre alla morte, facendone specchio di luce assoluta, di rivelazione. Ecco la potente tensione metafisica della poesia di Gilio: la sua capacità di sfiorare – attraverso un atteggiamento di “mistico fervore” e “religioso amore” – l’essenza degli esseri, il volto sotto la maschera, lo spirito del tempo e della vita. Oltre i sensi fallaci e i vani simulacri, oltre i limiti umani materiali, “cogliere in segreto” / il sacro delle cose. Gilio è convinto che “le cose sono più delle parole”; ma le parole, che “gemmano” dalle cose, sono a loro volta la luce del mondo. La parola è un “segno lieve” che riscatta l’esperienza umana “oltre l’oblio oscuro della vita”. Il percorso poetico di Gilio sembra proteso alla verifica (e alla conseguente accentuazione) del potere della parola, della dicibilità ancora attuabile delle cose nella parola. Il silenzio sconfinato del mondo è saturo di emanazioni, di significati che emergono da “ignote fonti” per poi rifulgere dentro la parola del poeta: la parola-epifania che nomina, che fonda in essere la cosa, che fa tornare “sacra” l’ora fuggitiva nella percezione estatica di un “perenne precario incantamento”.


RECENSIONE DI POLVERE ROSSA di Rita Raimo

Polvere Rossa ci offre uno straordinario viaggio nel mondo poetico di D.Gilio, attraverso una  suggestiva rassegna di luoghi geografici e dell’anima, che si fondono con armonia, conferendo alle varie liriche una connotazione simbolista. D.Gilio, infatti, come Baudelaire, riesce a intuire e a scoprire i legami che si insinuano fra l’apparenza delle cose e i loro legami più reconditi, assegnando al verso una funzione evocativa e mistica. Attraverso un lessico legato alle cose, ai luoghi, agli affetti e con il ricorso ad una sintassi semplice, limpida e chiara, egli crea particolari suggestioni musicali e strutturali, attribuendo alla natura un ruolo preponderante, descrivendola con versi curatissimi, dove gli accenti tecnici sembrano fondersi con quelli interni. La musicalità dei vari versi è sostenuta da un massiccio uso di figure retoriche, fra le quali imperante risulta la metafora. D.Gilio sembra voler dire che la poesia è la via imperante della conoscenza.(…)

Ne parlerò ai miei alunni quando tornerò a scuola. Alcune poesie si presentano bene all’analisi del testo e al discorso di valorizzazione del nostro Sud.


IL LINGUAGGIO PERDUTO di Adeo Viti

Il filo rosso, che tiene insieme le opere edite e le rende come un corpo unico ed organico, sta nella particolare percezione del reale da parte del poeta, che, di fronte alla mutevolezza del mondo attuale che crea spaesamento e conflitti sociali, è tesa a cogliere e riscoprire ciò che permane delle cose oltre le loro fugaci apparenze. La proposta rivolta al lettore è di  riattivare la capacità di percepire le cose al loro stato puro, incontaminato, originario, nascente, per rivivere l’emozione di una nostra dimensione edenica, aurorale, esente dal male.

Gilio non esprime nostalgia, ma il rammarico che, con il tramonto dei costumi e del modo di vivere dei contadini, si è perduta per sempre anche la loro percezione del mondo ed i legami che univano il mondo animale e vegetale alla loro vita.

Si è perduto infine il loro linguaggio ricco e figurato; la loro capacità di dare nomi appropriati ad ogni cosa.


PAROLE LIETE NATE NELLA NOTTE A DARE LUCE ALL’ANIMA di Manuela Borghini (Roma 5 marzo 2018)

“La Cetonia sul cardo" nella seconda edizione, in omaggio ad Acerenza, dà voce lirica alle emozioni vissute da mio padre Alfredo e mantiene vive le tradizioni della Basilicata. (…) Mi auguro che questo libro trovi spazio nelle scuole e il riconoscimento per la formazione dei giovani, che sono il nostro patrimonio più importante.(…). Solo grazie a una particolare attenzione rivolta ai giovani è possibile guardare con rinnovata speranza al futuro.
All’autore del libro va la mia più sincera gratitudine per il profumo che esala da ogni strofa di queste poesie; profumo evocativo di un vissuto, misto di sacro e di natura, che la Basilicata generosamente offre a chi lo sa cogliere.


LA GRAMMATICA LIRICA di Aldo Onorati

La poesia di Domenico Gilio è giocata su polivalenze espressive e gnoseologiche, in un verso curatissimo, ove gli accenti interni collimano con quelli tecnici, in una sorta di rivisitazione moderna della grande tradizione lirica italiana, da Petrarca a Leopardi, da Pascoli a Montale…Gilio va oltre, fa un gioco serrato di richiami e di invenzioni, tanto da proporre una sua volontà semantica, una sua grammatica lirica.

La natura è la grande madre, vista e sfumata in mille chiaroscuri, in impasti di colore che appartengono alla tavolozza dell’anima, in equilibrio fra la ritrattistica e il paesaggio interiore, perché la natura non è fisiocentrica, ma decisamente antropocentrica, divinatrice, labile e decisa, vicina e lontana, in un verso talvolta altissimo di azzardate metafore e di vibrazioni metafisiche. Un naturalismo stravolto ad arte e travolgente, ove il poeta si ritrova con la sua passione magica, reale ed irreale, inafferrabile.


L’INTERROGAZIONE POETICA DI DOMENICO GILIO di Giorgio Linguaglossa

Dalla costruzione alla de-costruzione, dalla complessità del micro racconto alla folgorazione del frammento, dalla pennellata larga e fluente al pointillisme, dallo sguardo retrospettivo ai minimi dettagli, al testo come referto, al testo come variazione di un altro testo che è la vita, e la vita come “guarigione” da una malattia che è la non-malattia. Ce n’è per tutti i gusti. Gilio mostra le sue indubbie capacità di rethoricoeur e di regista del testo, passa con nonchalance dalle notazioni quasi casuali alle glosse intertestuali (…)

Una poesia che è insieme fragile e temporanea, minimale e non oracolare, che si affida quale formula chiave di apertura della serratura dei testi alla delicatezza delle parole al tempio. Se ce n’era bisogno: il negativo non fa irruzione in questa forma-poesia con il suo carico di “nulla” che lo segue a ruota.






Dino Salese (Pescara, agosto 2020)

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