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Quartiere Italia, Via Castelli Romani





Domenico Gilio
Le poesie


FONTANA DI SAN MARCO

Testimonianza di Don Mario Festa Parroco del 12 maggio 2003.


Carissimo,
il tuo modo simpatico di fare gli Auguri con una poesia è gradito e mi commuove.
Il Signore ti ha dato il talento di comunicare i più sentiti e profondi sentimenti con una sensibilità grande e con il linguaggio delle Muse.
Questa volta hai cantato, velato di malinconia, la nostra Fontana punto di riferimento per secoli per le nostre Donne, onerate da sempre per attingere acqua, per lavare i panni e stenderli al sole; ma nell’immaginario collettivo, specialmente al ritorno da viaggi più o meno lunghi, rappresentava l’arrivo, l’incontro, il riposo, la Comunità ritrovata.
Ora la Fontana è stata emarginata dal “progresso” delle strade ed estraniata anche dalla “melonata” al chiar di luna nelle serate estive.
La riscopriremo noi, una sera, quando la proporremo come la meta di una passeggiata ricca di chiacchiere” di comune interesse.
Saluti cari a te e a tutti con stima e affetto.

Don Mario


FONTANA DI SAN MARCO

Porta aurea di Acerenza,  
tra fertili distese.
La mia mente, sul filo di una stella,
di albe di rosaspine,
       sale dove
          fiorì il canto, confuso,                                
abbagliante, del popolo dei campi
nel ritmo delle semine,
       dei raccolti autunnali.

Ogni giorno si univano le donne
a te d’intorno, Pantheon minore,  
al rito dei lavacri.
     Risuonava Armonia  
sul lieto tramestio.
I panni stesi al sole del mattino
erano uniche bandiere gloriose.

Dona luce la vita
     nel groviglio di ogni giorno,
come il pane del  vivere. Non c’è
un altrove, altra grazia, che non porti  
una pena, un addio.
Siamo esseri  ristretti, marginali!

Niente è più illeso su questa radura.
S. Marco in breve tempo
      è diventato un rudere,
oggetto di consumo frettoloso.
Non trovo i lieti passi,   
      un rinnovato
      amore per le cose
che furono mie. Io più non bevo
a giumelle gioiose a questa fonte.

Il vento della terra,
    ostile e familiare,
danza tra le colonne;
porta via l’antico rimestio,
religioso.
Mai più ritroverò,
vergini forme, il suono, l’armonia
di voce contadina.
Sparito ogni  vestigio
che per ardua via porti ad una meta...   
La Smemoratezza è la sola dea.
Come se qui nessuno
sia mai passato.



Dino Salese (Pescara, agosto 2020)

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